di Enrico Fumagalli
Posata come una farfalla sul mare trasparente delle Piccole Antille, Guadalupa apre le sue ali all’ombra degli alisei: una è alta e montuosa, ammantata di foreste; l’altra è un verde tappeto ondulato di canne da zucchero. Doppia è anche la sua anima: selvaggia e astemia da una parte, vacanziera, spensierata di spiagge e di rhum dall’altra.

CASTELLI DI CALCARE Alba sui faraglioni a Pointe des Châteaux.


Leggendaria è la doppiezza di Guadalupa. Due le isole, che disegnano sul Mar dei Caraibi due ali di farfalla, due i climi, due gli stili di vita. Le isole, Grande-Terre e Basse-Terre, non si potevano pensare più diverse: ondulata di bassi campi di canna e dolce di spiagge e di anfratti trasparenti la prima, alta e nodosa di montagne selvatiche – nonostante il nome – la seconda. Quando il vulcano La Soufrière, alto come un gendarme, raduna sulla sua testa tutte le nuvole che l’aliseo sospinge dall’Atlantico, Basse-Terre è illividita da un cielo nero ingombro di pioggia. Sul profilo morbido di Grande-Terre le nuvole trascorrono leggere in un cielo limpido, disegnando sfuggenti geroglifici d’ombra sulla sabbia bianca delle spiagge. Nel suo punto più orientale Grande-Terre protende nell’oceano un uncino di rocce irte, la Pointe des Châteaux, fatta di castelli di calcare, corrosi dal vento e dal mare, crollati in epoche remote. È uno dei luoghi più magici di Grande-Terre, per il resto popolata di resort lungo le sue magnifiche spiagge meridionali, illanguidita da solari villaggi creoli e da sconfinate coltivazione di canna che danno zucchero e rhum. Solo le scogliere a nord, con la Grande Vigie e l’ardente Port d’Enfer, declamano ancora storie di mare e di vento degne d’essere ascoltate.
Di tutt’altro nerbo è l’irsuta Basse-Terre, regno di vulcani e di foreste prepotenti, alimentate – almeno sul lato est – da piogge torrenziali (oltre 10.000 millimetri l’anno sul fianco della Soufrière!), restituite a valle in bianche cascate che sembrano sgorgare dalle nuvole stesse. Il cono vulcanico è talmente battuto dai venti e dalle piogge che la vegetazione non s’innalza che di pochi decimetri con arbusti stentati immersi in fradici cuscini di muschi e spessi strati di licheni, innervati da licopodi. Sul verde acceso che ammanta il terreno e sulle rocce brune che formano ammiccanti pinnacoli spicca il rosso vivo del fiore di un ananas locale, che non fruttifica, ma punteggia la sommità del vulcano di fioriture perenni. Ai piedi del cono le antiche colate si spingono verso il mare, bordato da inattese spiagge nere, così poco frequentate da far pensare di essere all’Eden. A metà tra il mare e il vulcano si stende il regno intricato della foresta pluviale, dove svettano possenti i chataigniers (castagni), accanto agli alberi della gomma, dove le fitte foreste di felci (spettacolari quelle arborescenti) sono ravvivate dai fiori di eliconia e di zenzero, da decine di specie di orchidee. Vecchie mulattiere e nuovi sentieri consentono d’inoltrarsi in un mondo intoccato, costantemente rinnovato dalle piogge e dalle fioriture, percorso da silenzi e da sorprese, oggi protetto da un parco nazionale e censito dall’Unesco come Riserva della Biosfera.
Straordinari ambienti naturali sono anche quelli della Riserva Marina Cousteau, che protegge i magnifici fondali degli Îlets à Goyaves, e della Riserva del Grand Cul-de-Sac Marin, un vasto regno d’acque basse e di mangrovie delimitato dalla più lunga barriera corallina delle Piccole Antille; la laguna può essere esplorata in kayak senza disturbare i solitari pellicani bruni e le nutrite colonie di aironi guardabuoi che popolano a migliaia gli isolotti.
Anche le città riflettono l’anima doppia di Guadalupa: tanto animata e vivace è Pointe-à-Pitre, capitale economica, quanto sonnacchiosa è all’apparenza Basse-Terre, capitale amministrativa. In realtà poi scopri che quest’ultima è la più autentica e conserva un’identità di architetture coloniali e creole, di angoli segreti in cui si respirano atmosfere d’antan, di gente piacevole e loquace, di coloratissimi mercati. È a Basse-Terre, più che altrove, che scopri come la Francia, nel cuore delle Piccole Antille, si è data appuntamento con l’Africa, giunta con le navi dei negrieri, in un laboratorio dai cui alambicchi è scaturita la magia della cultura creola, resa ancor più esotica dalle radici amerinde e dall’innesto di un pizzico d’India. Con l’abolizione della schiavitù furono, infatti, gl’immigrati di Pondicherry, colonia francese nel sud dell’India, a prendere il posto degli schiavi nelle piantagioni. Da allora i tessuti Madras sono la “divisa” ufficiale delle donne e al ristorante, quando si è stufi di pesce e frutti di mare, si ordina un curry speziato di carne di capra.

Tratto da Itinerari.it




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